Dal 1º giugno per quaranta giorni le campagne vercellesi e novaresi si popolavano di donne in salute dai 13 anche fino ai 60 anni, impegnate a mondare, cioè a estirpare le erbacce dalle risaie. Da questo verbo deriva il nome delle protagoniste dell’articolo del blog che stai leggendo: le mondine, anche dette mondariso.
- Cappello di paglia in testa o foulard per proteggersi dal primo sole estivo
- Piedi nudi e gambe sempre in acqua, queste ultime fasciate dalle calze di lana o di cotone fino alle cosce
- Schiena curva, spesso percossa senza pietà dal bastone del padrone
Oltre alle bastonate, a tormentare le mondine, si aggiungevano le spighe ruvide e taglienti del riso, i ragni, le sanguisughe, le bisce e le rane, che le lavoratrici stagionali delle risaie si infilavano in tasca per cucinarle poi la sera e rendere il misero pasto un po’ più sostanzioso.
Tutto intorno, il ronzio delle zanzare, portatrici della malaria, faceva da sottofondo ai canti di queste instancabili lavoratrici. Cantare insieme non era solo un modo piacevole per alleviare quella vita grama, fatta di otto, se non quattordici, ore di lavoro.
Il canto, tanto innocente quanto potente, era anche lo strumento ideale per far sentire la propria voce. Era un’unica voce corale per sostenersi a vicenda, perché la solidarietà femminile esisteva (eccome se esisteva!). Quelle melodie denunciavano le ingiustizie nonché le angherie subite. Inoltre, diffondevano la voglia di lottare per un futuro migliore: il proprio ma anche quello delle loro figlie.
Tutto questo era il mondo delle mondine tra Otto e Novecento, di cui il film neorealista del 1949 Riso Amaro con Silvana Mangano e Vittorio Gassman è una trasposizione se non fedelissima, molto verosimile. Ma come e quando sono nate le mondine? Quali sono le cause per le quali decisero di battersi, a costo della loro stessa vita? E qual è oggi l’eredità delle mondine, di cui possiamo (e dobbiamo) fare tesoro, anche grazie a chi si impegna ogni giorno per mantenerne vivo il ricordo?
Indice dell'articolo: con un clic vai al paragrafo di tuo interesse
Da dove venivano le mondine
La prima monda, quindi la pulitura del riso dalle erbe infestanti per poi procedere con il trapianto delle piantine, iniziò verso la fine dell’Ottocento. Proseguì fino alla prima metà del secolo successivo, finché non venne sostituita dai diserbanti.
Esclusivamente manuale, la monda avveniva ad opera per lo più di donne di bassa estrazione sociale, provenienti dal Piemonte, Emilia Romagna, Veneto e Lombardia. Queste lavoratrici raggiungevano le risaie del vercellese, novarese e padovano, nel cuore della Pianura padana, su treni simili a vagoni bestiame per poi attraversare i campi a piedi o su mezzi di fortuna, come carri, e approdare nelle cascine, circondate dalle risaie.
Un esempio è la Tenuta Colombara a Livorno Ferraris, di cui ti racconterò nei prossimi paragrafi. Qui, nei periodi di maggiore attività, lavoravano più di trecento mondine e le ultime arrivarono nel 1965 da Salerno, quando al nord le donne non erano più disposte a fare quella vita grama.
Le lotte delle mondine tra canti e militanza sindacale
A forza di lavorare in pessime condizioni con paghe da fame, orari estenuanti e il rischio di contrarre malattie letali, le mondine iniziarono a protestare.
Se per 40 giorni queste lavoratrici erano impegnate nelle risaie, durante il resto dell’anno molte di loro lavoravano in fabbrica. Prima al fianco e poi, durante le guerre mondiali, al posto degli operai, le donne alla catena di montaggio erano sempre più numerose. E l’ho raccontato in modo approfondito nell’articolo sulla storia di Rosie The Riveter e del lavoro femminile.
Dalle risaie alle fabbriche la voce del malcontento cominciò a spargersi fino a dare vita alle leghe contadine e ai sindacati. Oltre all’equità salariale, la rivendicazione principale riguardava il passaggio da quattordici a otto ore di lavoro. Il canto delle mondine: Se otto ore vi sembran poche ben la riassumeva. Cantare era solo il primo passo per farsi sentire. La militanza al pari del movimento operaio diventò un atto di coraggio fondamentale per conquistare i diritti negati.
Ciò non significava solo intonare: Bandiera rossa (o altri canti di lavoro più o meno reazionari) e incidere sui muri la falce e il martello, simbolo del partito comunista. È doveroso contestualizzare l’adesione a questa ideologia, che promuoveva una distribuzione egualitaria delle risorse e l’abolizione delle classi sociali. Perciò, rappresentava una fonte di ispirazione per lavoratori e lavoratrici, al fine di contrastare lo sfruttamento del lavoro, perpetrato dai loro padroni.
La lotta era scandita dalla partecipazione attiva a scioperi, manifestazioni e cortei. Le sommosse iniziarono verso la fine dell’Ottocento, in modo particolare in Emilia Romagna, e si intensificarono durante i primi anni del Novecento.
Il comportamento delle autorità nazionali e locali
Il governo nazionale, con Giolitti come Presidente del Consiglio, assunse un atteggiamento man mano più neutrale nei confronti degli scontri tra lavoratori e datori di lavoro. E riconobbe poi le libertà sindacali, il diritto di sciopero, nonché la riduzione a dodici ore dell’orario lavorativo giornaliero delle donne.
Nonostante ciò, a livello locale, le repressioni si rivelarono durissime. Infatti, le cariche della cavalleria furono di una violenza inaudita e portarono ad arresti, feriti e morti. La causa delle mondine fu però più potente di qualunque rappresaglia e queste lavoratrici si dimostrarono pronte a tutto.
Vercelli al centro della lotta
Il loro obiettivo era vicino e condiviso non solo dai lavoratori in fabbrica e in campagna, ma anche da personalità locali molto influenti. Tra queste a Vercelli spiccava l’Avv. Modesto Cugnolio, detto l’avvocato dei contadini, perché difendeva gli umili lavoratori in giudizio a titolo gratuito. Cugnolio supportò le lotte rurali e, in modo particolare, delle mondine, fino al periodo più duro della protesta dal 1906 al 1909. Si batté per l’effettiva applicazione del regolamento Cantelli (1859) che regolava l’orario del lavoro e le condizioni igieniche in risaia.
Seguì un’escalation di sommosse, tra cui lo sciopero delle barricate dal 31 maggio al 2 giugno del 1906. In questa occasione centinaia di mondine e braccianti si riversarono nel centro di Vercelli. Occuparono officine e innalzarono barricate improvvisate. Queste mobilitazioni sancirono il riconoscimento delle otto ore nei lavori agricoli e un cospicuo aumento della paga oraria. Tutto ciò solo a livello locale, mentre il governo nazionale si rivelò reticente, così le proteste continuarono negli anni successivi e culminarono nel 1909.
A maggio di quell’anno lo sciopero generale vide le mondine sdraiarsi sui binari per impedire ai lavoratori forestieri di raggiungere i posti di lavoro. Si sfiorò la tragedia: il macchinista fermò il treno per non travolgerle e si diede alla fuga.
Alla fine del mese le mondine ottennero il tanto agognato accordo. La giornata lavorativa venne infatti fissata subito ad 8 ore e 30 minuti. Il Ministero si impegnò a ridurla ad 8 ore a partire dal 1910, durante il periodo della monda del riso per poi estenderla ad ogni tipo di lavoro agricolo.
Questa clausola entrò poi a far parte dei contratti collettivi nazionali. Nonostante ciò, solo nel 1912 un decreto legislativo stabilì la giornata lavorativa di otto ore per ogni forma di lavoro.
Il museo delle mondine nella Tenuta Colombara
Per intraprendere un viaggio nel tempo alla scoperta della vita intima e quotidiana delle mondine, puoi visitare il Museo a loro dedicato. Si trova nella Tenuta Colombara a Livorno Ferraris, a Vercelli. Io ho avuto il piacere di scoprire questo gioiello di architettura rurale grazie all’Instameet I segreti del riso, organizzato da @igersvercelli, la community di appassionati di fotografia e di Instagram del Vercellese.
Dal Cinquecento la Tenuta Colombara è votata alla risicoltura, introdotta dai padri cistercensi della vicina Abbazia di Lucedio. Fu poi acquistata nel 1935 dal padre di Piero Rondolino. Quest’ultimo è l’attuale proprietario, nonché l’inventore nei primi anni Novanta dell’ambizioso progetto Riso Acquerello. Si tratta del carnaroli più pregiato d’Italia: l’unico invecchiato da 1 a 7 anni e l’unico reintegrato con la propria gemma, per fornire tutti i sali minerali e le vitamine al suo interno.
Per quanto sia prezioso e ricercato, il Riso Acquerello trae origine dall’esperienza diretta del suo ideatore. Prima di diventare un illuminato imprenditore agricolo, strappato all’architettura, Piero Rondolino lavorò come addetto alla regolazione dell’acqua nelle risaie, (da qui il nome Acquerello). Il suo apprendistato nella Tenuta gli permise, inoltre, di sviluppare un profondo interesse più per la conservazione degli ambienti e degli oggetti che del loro restauro.
Questa sua filosofia regna sovrana nella Tenuta Colombara. Trova applicazione anche negli spazi dedicati a preservare la memoria delle mondine tra fine Ottocento e inizio Novecento.
Mario Donato: Storyteller delle risaie e collezionista di oggetti antichi
A supportare Piero Rondolino e la sua famiglia nel tramandare la storia delle mondine nella Tenuta Colombara, c’è Mario Donato. Classe 1939, Mario è un ex dipendente della Pirelli in pensione ed è stato anche presidente della Proloco di Livorno Ferraris. Dedica gran parte del suo tempo a mantenere vivo il ricordo delle mondine e della vita rurale del passato.
A passo svelto e con la sua lucida parlantina, Mario guida i visitatori di Tenuta Colombara negli ambienti, di cui lui stesso si è improvvisato scenografo e Storyteller. Il tutto con inesauribile entusiasmo, spontaneità, arguzia e generosità, perché come spesso ripete:
Questo è il mio mondo. Una volta era così. Io c’ero, l’ho vissuto.
Figlio, nipote, cugino di mondine e con lo zio cavallante alla Tenuta Colombara, Mario è di casa in questa cascina. Ciò che non ha vissuto in prima persona, perché non era ancora nato, l’ha ereditato dai racconti di suo papà, dei suoi nonni e delle persone più anziane di Livorno Ferraris, colonne portanti della comunità.
Dove dormivano le mondine
Nel capannone adibito a dormitorio femminile, dove le mondine al piano terra cucinavano e al piano superiore dormivano, Mario ha pensato a tutto. Infatti, ha allestito una delle due camerate, così com’era quando le mondine si riposavano dopo le interminabili giornate di lavoro. Grazie al contributo dell’intera comunità di Livorno Ferraris, il narratore delle risaie è riuscito a recuperare complementi d’arredo, accessori e oggetti appartenuti a quell’ambiente e alle mondine stesse.
Tra questi:
- le brande, suddivise in due file, una vicino all’altra, dove le mondine si coricavano
- le valigie di cartone, con le quali le lavoratrici stagionali arrivavano alla Tenuta
- gli abiti, da lavoro e non
- la biancheria intima, tra cui le pezze che fungevano da assorbenti durante il ciclo mestruale
- i trucchi come la cipria e il blet, cioè il rossetto, per pochi e brevi momenti dedicati alla cura di loro stesse
- i fotoromanzi, Grand Hotel e Bolero in primis, consegnati da Mario Donato bambino, grazie ai quali prima di addormentarsi le ultime generazioni di mondine sognavano amori da favola e posti lontani
Di fronte a questo stanzone, animato dallo spirito delle mondine, in cui il tempo sembra essersi fermato, si trova un’altra camerata. Alle pareti campeggiano tante splendide foto in bianco e nero. Sono ritratte le mondariso al lavoro, intente a mondare o a fare i trapianti nelle risaie, a mangiare durante la rapida pausa pranzo e a cantare. Ad accompagnare queste preziose testimonianze fotografiche, i testi dei canti delle mondine e una copia del loro contratto di lavoro.
L’eredità delle mondine
La storia delle mondine e delle loro battaglie ha permesso non solo a queste donne, ma a tutte le persone che lavorano in Italia di migliorare le proprie condizioni professionali. E non possiamo che essere gratə per i diritti che queste lavoratrici sono riuscite a ottenere, a costo della loro stessa vita.
Tali conquiste, che oggi consideriamo sacrosante e scontate, sono ancora minacciate, messe in discussione e disattese, per quanto sancite dalla legge. Basti pensare al dilagante fenomeno del caporalato con lo sfruttamento dei lavoratori agricoli, spesso extracomunitari. Scenario altrettanto allarmante è il lavoro nero, dove chi lavora non ha sottoscritto alcun contratto e, di conseguenza, è senza tutele. Altro caso ancora è chi un contratto di lavoro ce l’ha, ma le sue clausole rimangono sulla carta con continue violazioni.
Spesso tutto ciò viene subito pur di non perdere quel posto così a lungo cercato e ottenuto con tanta fatica. Nel mio piccolo, io stessa all’inizio del mio percorso lavorativo ho dovuto lottare per far valere i miei diritti. E mi riferisco a diritti fondamentali, come quelli di essere pagata nel rispetto della retribuzione pattuita, affrontando delle difficoltà che mi hanno molto demoralizzata.
E per quanto oggi queste situazioni siano inaccettabili e incredibili ho scoperto che tantə miə coetaneə hanno un vissuto lavorativo simile al mio. Una magra consolazione che ci fa capire quanto le lotte per i diritti sul lavoro siano più che mai attuali, da ricordare e trasmettere alle generazioni future, come punti cardinali da preservare con cura e con consapevolezza della loro fragilità.
Al di là di queste considerazioni, conoscevi la storia delle mondine? Hai già visitato il Museo a loro dedicato nella Tenuta Colombara a Livorno Ferraris o altri luoghi in memoria di queste lavoratrici? Raccontami la tua esperienza qui sotto nei commenti! Sono molto curiosa di sapere se la vita di queste donne ti ha emozionato e colpito come ha fatto con me.
Le informazioni contenute in questo blog post sono tratte dal tour organizzato presso la Tenuta Colombara da @igersvercelli durante l’Instameet: I segreti del riso. Guide d’eccezione: Piero Rondolino e Mauro Donato.
I loro racconti sono stati integrati grazie all’articolo di Carlo Petrini, fondatore di Slow Food, intitolato: Il Museo delle Mondine, pubblicato su La Repubblica, domenica 2 novembre 2008.
Gli approfondimenti storici sulle lotte delle mondine e dei contadini fanno riferimento ai dettagli riportati dall’Archivio di Stato di Vercelli.
Merci Cristina pour ce beau récit, je ne connaissais pas du tout l’histoire de ces femmes, quel courage et quelle détermination, c’était très touchant !!
Tu as raison de souligner qu’aujourd’hui encore tout est fragile et il faut toujours se battre pour faire valoir ses droits, c’est incroyable …
Chaque fois, je découvre un lieu, un évènement ou des personnes extraordinaires.
Rina
Merci beaucoup, Rina!
J’aime bien explorer l’histoire du travail des femmes. Je l’avait déjà fait avec l’article sur Rosie The Riveter et le travail dans les usines. Maintenant je suis en traîn d’étudier le travail dans les filatures pour un nouvel article💪🏻
Pourquoi ne pas parler du chant “Bella Ciao” que les Mondine chantaient en travaillant ? Jeanne
Merci pour le commentaire, Jeanne! En effet, je l’ai mensionné dans l’article où je parle de l’histoire du travail des femmes: https://www.cristinabertolino.it/storia-di-rosie-the-riveter-e-del-lavoro-femminile/
Vers la fin de cet article j’ai inséré le lien à la version forte et touchante de Bella Ciao des mondines, chantée par Milva!