Nella Limone Piemonte degli anni Cinquanta e Sessanta un gruppo di ragazze scrisse una pagina importante e unica della storia dello sci italiano. Anna e sua sorella Catterina (Rina) Tosello, Margherita (Rita) e sua sorella Franca Bottero, raggiunte poi dalle cugine Elisabetta (Zablin) Astegiano e da Elisabetta (Bettina) Bellone. I loro nomi si perdono nei meandri della storia, rischiando un oblio tanto ingiusto quanto immeritato, soprattutto se consideriamo i risultati che queste campionesse raggiunsero nello sci di fondo, anche detto sci nordico, sia in gare nazionali che internazionali.
Per mantenerne viva la memoria, racconterò in questo blog post la loro storia extraordinaria, scandita da tante difficoltà e soddisfazioni personali. Il tutto alimentato da una grande passione per il fondo, un costante spirito di sacrificio, un’inossidabile forza di volontà e un ardente desiderio di riscatto nei confronti di una società che le avrebbe volute angeli del focolare, mentre queste giovani donne si sentivano diavoli della neve. E allora mettiti comodə: impara a conoscere le atlete limonesi e scopri come sono riuscite a conquistare tutto a partire da niente.
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- 1 Gli esordi delle sorelle Tosello e Bottero
- 2 Contro tutto: una per tutte e tutte per una
- 3 Le prime vittorie
- 4 Gli allenamenti e l’attrezzatura sciistica
- 5 La preparazione atletica
- 6 Olimpiadi di Cortina 1956: la prima grande delusione
- 7 Due new entry verso la consacrazione delle fondiste limonesi
- 8 L’incidente
- 9 La fine di un sogno
- 10 Elisabetta Bottero e Elisabetta Astegiano: inarrestabili fuoriclasse
- 11 Il trattamento riservato alle fondiste limonesi
- 12 Il ritiro, la rinascita e la lotta per l’eguaglianza
- 13 Conclusioni tra oblio e memoria
- 14 Biografia
Gli esordi delle sorelle Tosello e Bottero
Anna e Catterina Tosello iniziarono a sciare, seguendo le orme del padre e del fratello. Vivevano a Tetto Lucrezia, alla Panice, verso Limonetto, nella Limone Piemonte del secondo Dopoguerra. In quel periodo, affossato dal conflitto mondiale, lo sci ritornò alla ribalta dopo il successo della prima slittovia negli anni Trenta. Le discipline alpine si stavano imponendo come le protagoniste degli sport invernali, grazie agli investimenti negli impianti di risalita e nelle attività commerciali di attrezzatura sciistica. Limone si apprestava a diventare la Cortina o la Courmayeur piemontese. I primi flussi di turisti, provenienti dalle vicine regioni italiane e francesi, iniziarono a riversarsi sulle piste.
Anna si cimentò prima con lo sci di discesa, senza ottenere alcun risultato. Infatti, le specialità alpine non l’entusiasmavano e con l’allenatore non entrò mai in sintonia. Al contrario, Rina amava lo sci di discesa, ma i genitori la spinsero a battere la stessa pista della sorella maggiore. Il fondo era molto più sicuro della discesa. Quanti giovani si era infortunati, anche gravemente, senza poter più lavorare e rivelandosi solo un peso per le loro famiglie? I Tosello non potevano permetterselo: erano tutto fuorché signori. E le due ragazze, forti e volenterose, svolgevano tutte le faccende domestiche. Inoltre, erano un valido aiuto sia nella stalla, alle prese con le vacche, sia nel bosco a cercare e spaccare legna.
Così Anna e Rina, incoraggiate dal fratello Luigi, che partecipava già a delle competizioni, decisero di alzare il livello delle loro sciate. Con intraprendenza, si presentarono a Severino Compagnoni, l’allenatore della squadra maschile di fondo. Lo stesso fecero altre due loro compaesane e coetanee: le sorelle Bottero, prima Rita, raggiunta poi dalla minore, Franca. Ben presto, le quattro sciatrici si dimostrarono molto più talentuose e affamate di vincere dei loro colleghi.
Contro tutto: una per tutte e tutte per una
Che cosa avevano da perdere? Non ci si aspettava nulla da loro:
Che cosa vi siete messe in testa? Dove volete andare? State a casa a fare maglia!
Erano i commenti più ricorrenti, e anche forse i più benevoli, che serpeggiavano a Limone.
In fondo, erano solo ragazze. Ma la maglia, ormai, l’avevano imparata a fare. Inoltre, stare a casa loro o in casa d’altri come donne di servizio non era proprio la loro massima aspirazione, almeno in quel momento. Anche il matrimonio e la maternità, priorità sacrosante nella società degli anni Cinquanta-Sessanta, potevano aspettare. Lo sci, invece, era l’opportunità irripetibile da cogliere all’istante.
Lo sci rappresentava, infatti, la chiave di una porta spalancata verso il mondo, che mai avrebbero potuto vedere, e verso un futuro diverso da quello tracciato dalle convenzioni socio-culturali dell’epoca. E poi non sarebbero state sole: erano una squadra unita, affiatata e solidale. Inoltre, avrebbero avuto sempre al loro fianco il fedele Beppe Caballo, detto Cabalot, accompagnatore, nonché confidente, un po’ psicologo, un po’ intrattenitore e costante punto di riferimento per le sciatrici.
Le prime vittorie
Il 1955 fu l’anno in cui le quattro fondiste si confrontarono per la prima volta con le più grandi atlete italiane e internazionali, che fino ad allora aveva dominato lo sci di fondo. Provenivano per lo più dal Friuli Venezia Giulia, dal Veneto e dalla Valle d’Aosta, come Fides Romanin, Maria Del Fabbro, le sorelle Werick, Ildegarda Taffra e la Nus. Tra le gare più importanti, oltre a quella di Chiusa Pesio, ricordiamo il Giro di Cuneo e il Trofeo Molinari a Limone. A Cuneo, Anna si dovette accontentare del secondo posto, con Rita terza, Rina quinta e Franca settimana. A Limone, invece, Anna trionfò e tutte le sue compagne si classificarono nelle prime dieci posizioni.
Ciò significava la qualificazione ai campionati italiani di Cortina. Di lì a poco, la vita delle quattro limonesi cambiò per sempre: da fondiste amatoriali diventarono sciatrici professioniste della nazionale femminile di sci nordico. Dalle gare, seppur blasonate, in giro per la provincia Granda, per la prima volta si spinsero ben oltre la loro zona di comfort cuneese. Dal clima provinciale, amichevole e spensierato all’atmosfera internazionale, tesa, super competitiva ed estraniante. Già allora, come oggi, per citare chi sfonda soffitti di cristallo a picconate:
Non le videro arrivare.
E fu proprio l’effetto sorpresa a renderle delle outsider, un po’ come delle imbucate a una festa, quella dello sci di fondo, a cui non furono invitate, ospiti indesiderate e fin troppo ingombranti per una bravura che, agli occhi dei più, fu sconcertante.
Gli allenamenti e l’attrezzatura sciistica
Come ricorda Catterina durante una chiacchierata che ho fatto con lei nel Museo dello Sci Agostino Bottero:
Lavorare era il nostro allenamento: quando con papà tagliavamo la legna, poi si portava a casa. Spaccar la legna era il divertimento, che si faceva il movimento dell’accetta, dei muscoli… Quando potevamo al mattino io e mia sorella uscivamo e facevamo il giro della strada romana verso Limonetto. Si andava verso il Colle di Tenda, si scendeva a 1400 e si veniva a casa. E tutte soddisfatte perché avevamo fatto il giro, tutto di corsa.
A rendere le loro performance strabilianti era proprio questa preparazione approssimativa e fai-da-te, combinata a un equipaggiamento obsoleto e pesante:
Noi avevamo lo sci di legno, i bastoni con le rotelle, le scarpe con i legacci, le calze di lana fino al ginocchio. Avevamo solo la tuta di poplin che non pesava… Avevamo sempre 2 kg di roba da portarci dietro in corsa. Non eravamo equipaggiate come si doveva.
Era la nostra forza che ci invitava ad andare avanti.
Grazie a quella forza, ai campionati nazionali di Cortina, si erano classificate al terzo posto assoluto alla staffetta tre per cinque chilometri: un grande risultato considerando che due delle tre frazioniste erano molto più giovani rispetto alle altre partecipanti, tutte veterane. Era stata Anna, la più grande del gruppo, a guidare la squadra. Sempre Anna continuò a mietere successi fino alla convocazione per gareggiare alla Coppa Kurikkala, che nel 1955 si svolse a Courmayeur. Il piazzamento non fu dei migliori, ma anche le altre italiane faticarono come lei, se non di più.
La preparazione atletica
Gli allenamenti si rivelarono infatti una corsa contro il tempo: nel giro di poche settimane Anna passò dai lavori di fatica a una preparazione atletica a cui fu sottoposta in occasione del raduno di Bardonecchia, insieme alle altre limonesi e alle venete, friulane e valdostane. Da quell’esperienza, ne erano tutte uscite un po’ scombussolate e poco consapevoli di come mettere in pratica ciò che avevano imparato, quasi come se le avessero smontate e rimontate. Così a quella prima avventura ne seguirono altre in estate con vari raduni sia in montagna, come a Bardonecchia e a Breno, che al mare, a Riccione, grande novità per le nostre quattro montagnine.
Tutto ciò portò poi Anna ai giochi olimpici di Cortina nel 1956 insieme a Rita. E le altre limonesi? Furono escluse, pur avendo raggiunto degli ottimi risultati. All’interno della Federazione Italiana Sport Invernali, il comitato triveneto, forte di un passato glorioso nello sci di fondo, esercitò tutta la sua influenza per limitare l’accesso alle piemontesi e dare più spazio possibile alle proprie atlete. Da quel momento in poi, fu sempre più chiaro che le scelte dall’alto non avrebbero favorito le sorelle Tosello e Bottero, a prescindere dalle loro prestazioni sportive. Eppure le limonesi, all’inizio ignare e poi sempre più consapevoli di questi giochi di potere, continuarono a lottare senza sosta. Guidate da una passione inesauribile per la neve. Fiere di portare anche oltre i confini piemontesi la loro Limone e le loro montagne.
La voglia di vincere. La voglia di andare avanti. La voglia di lottare ancora un po’.
Olimpiadi di Cortina 1956: la prima grande delusione
Anna Tosello arrivò ai Giochi Olimpici di Cortina del 1956 particolarmente provata a causa delle continue incomprensioni con il fidanzato. Mentre lei aveva per la testa gli anelli delle Olimpiadi e delle piste di fondo, lui quelli di fidanzamento e di matrimonio. A questa pressione, si aggiunse l’ansia da prestazione: una combinazione deleteria che le offuscò ben presto la mente, oltre a procurarle dei dolori fisici, soprattutto allo stomaco. Uno scenario così poco promettente fu il pretesto ideale per metterla fuori gioco, sostituendola con un’atleta veneta di minor valore, ma meno problematica.
Tale scelta si rivelò una grande delusione per Anna, un motivo di imbarazzo e dispiacere per Rita, la sua amica e compagna di avventure, nonché un vero e proprio fallimento per la nazionale italiana di sci di fondo. La squadra ottenne infatti dei piazzamenti miseri nonostante potesse ambire al podio. Ottava posizione alla staffetta e una magra consolazione: Rita, col suo trentesimo posto alla dieci chilometri, fu la migliore delle italiane.
Due new entry verso la consacrazione delle fondiste limonesi
C’è chi va, come Anna che decise di sposarsi, non prima però di guidare alla vittoria la staffetta a Sestriere un mese dopo le Olimpiadi. E c’è chi viene, come le cugine Elisabetta Bellone ed Elisabetta Astegiano. In particolare, proprio queste due si piazzarono rispettivamente al primo e al secondo posto del Trofeo Molinari a Limone nel 1957, dopo che Fides Romanin fu data non solo per favorita, ma persino (erroneamente) per vincitrice. I trionfi delle sciatrici limonesi proseguirono con il secondo posto di Elisabetta Bellone alla Coppa Kurikkala e la tanto agognata rivincita ai campionati italiani a Cortina. Dopo la cocente delusione olimpica nella Perla delle Dolomiti, un anno dopo la squadra limonese mise a segno un podio da sogno nella dieci km:
- Elisabetta Astegiano
- Margherita Bottero
- Elisabetta Bellone
Risultati simili caratterizzarono anche la staffetta tre per cinque km. A quel punto, che cosa potevano desiderare di più le nostre campionesse? La qualificazione ai mondiali di Lahti in Finlandia del 1958.
L’incidente
Forti degli eccellenti risultati, la convocazione ai mondiali finlandesi sembrava solo una formalità. Una nazionale femminile tutta Made in Limone Piemonte era molto di più di un progetto ambizioso. Tutti ci credevano e ci volevano credere a Limone e non solo: dalle campionesse al loro Cabalot tuttofare, dagli allenatori a Pinotto Bruno, il Consigliere nazionale per le Alpi Occidentali. Tuttavia, una sciagura ostacolò la realizzazione di quel sogno. Elisabetta Astegiano si infortunò verso la fine del 1957 durante una gara a Macugnaga, rompendosi i legamenti del ginocchio destro. L’intera stagione, mondiali inclusi, era compromessa.
Ma c’era ancora una speranza: la sua omonima, con la quale lottava sempre per i primi due posti sul podio, era in forma smagliante, oltre a essere fortissima. Se Elisabetta Bellone avesse vinto la prestigiosa Coppa Kurikkala in uno scenario internazionale, il comitato piemontese avrebbe avuto qualche possibilità di sostenere a suon di risultati la convocazione delle sciatrici limonesi, nonostante la pesante assenza di Zablin.
La fine di un sogno
Bettina non deluse le aspettative. Si scrollò di dosso sia le sue avversarie sia quel macigno emotivo di pressioni e ansie che si portava dietro da tempo. La sua vittoria, presentata alla Federazione dello Sci come la ciliegina sulla torta di una stagione da incorniciare, venne però snobbata. L’ulteriore conferma degli strepitosi traguardi tagliati dalle fondiste limonesi non fu abbastanza. Ebbene sì, a nulla valsero le proteste e persino le dimissioni di Pinotto Bruno. Il Consigliere nazionale per le Alpi Occidentali sostenne col massimo impegno la convocazione delle fuoriclasse limonesi, ma tutto era già stato deciso.
Non ci fu alcuna nazionale di fondo femminile ai mondiali in Filandaia. Al posto dello sci nordico, la Federazione preferì lo sci alpino, lo sport invernale dalla massima resa, soprattutto economica, col minimo sforzo. Al posto di un gruppo di atlete pluripremiate, la Federazione ripose la propria fiducia in un gruppo di giovani uomini di belle speranze, che fino ad allora avevano solo portato a casa scarsi risultati. Come prevedibile, l’Italia fece una pessima figura ai mondiali di Lahti, nonostante avesse tutte le carte in regola per brillare con un en plein di medaglie.
Elisabetta Bottero e Elisabetta Astegiano: inarrestabili fuoriclasse
Dopo l’ennesima ingiustizia, il morale delle fondiste limose era davvero a terra: poco importava quanto fossero forti, capaci, appassionate, pronte a sopportare fatica e sacrifici. Erano la resilienza fatta a persona, in un periodo in cui quella parola era sconosciuta ai più. Infatti, sempre nel 1958, ai campionati italiani di Colle Isarco, in Trentino Alto Adige, continuarono a gareggiare e a vincere. Al primo posto Rita, seconda Bettina e terza Rina, ennesima dimostrazione che il primato del fondo, anche se non riconosciuto, era passato dalle Dolomiti alle Alpi Marittime.
C’era un po’ di rivalità con le venete e le friulane… Loro ci prendevano quasi in giro per dire: Cosa venite a fare voi altre? Da dove arrivate? E allora, noi ancora peggio: avevamo la voglia di vincerle ancora di più.
La storia tornò a ripetersi nel 1959 e pure nel 1960, quando Zablin, tornata in splendida forma, si alternò a Bettina alla conquista dei primi due posti in tutte le gare disputate. Questo spettacolo avvenne nell’indifferenza generale. Ormai, la Federazione si era eclissata, abbandonando e ignorando le campionesse limonesi che, al contrario, avrebbe dovuto tenere ben strette, per poi presentarle con tutti gli onori alle Olimpiadi di Squaw Valley negli Stati Uniti nel 1960.
Ma a queste ragazze, chi glielo faceva fare? La gloria? Nemmeno quella! Una passione autentica, genuina, disinteressata le guidava. Il tutto condito da una profonda amicizia e dalla sorellanza che andava al di là della consanguineità delle sorelle Tosello, Bottero e delle cugine Astegiano e Bellone, legando tutte e sei le Limonesi. Una per l’altra continuarono a essere rivali sulle piste, ma solidali e amiche al di fuori: la loro unione fu la loro forza, mentre separarle, come nel caso di Anna e Rita alle Olimpiadi di Cortina, la loro debolezza.
Il trattamento riservato alle fondiste limonesi
Una sfida dopo l’altra, poco importava se guadagnassero poco o nulla: per loro era già un gran lusso avere le trasferte in treno pagate. Non potevano certo pretendere di essere retribuite né di entrare nei corpi dello Stato, come avveniva per gli uomini (in Italia il reclutamento femminile entrerà in vigore solo dal 1999) e nemmeno di ricevere chissà quali premi. Infatti, il miglior trofeo, l’aveva vinto Anna ed era un orologio d’oro, regalato poi al fidanzato il giorno del matrimonio. Rina, invece, ricorda una borsetta ammuffita, fondo di magazzino dimenticato, che ancora oggi conserva a casa come cimelio., e un giaccone. Non era andata meglio a Rita, a cui era stato propinato un servizio di piatti sbeccati che non osava utilizzare nemmeno per un pasto frugale.
E non fu solo un problema di premi ridicoli, compensi non pervenuti, riconoscimenti (anche solo morali) inesistenti. La situazione finanziaria dello sci di fondo era sempre più difficile, sia a livello locale che nazionale. Tutto questo sfaldò la squadra di sci femminile made in Limone. Man mano le giovani donne relegarono lo sci a un hobby, come Rina che fino al 1962 continuò a gareggiare, anche in discesa.
Il ritiro, la rinascita e la lotta per l’eguaglianza
Poco dopo il ritiro delle campionesse limonesi, la Provincia Granda diede i natali a Stefania Belmondo. La fondista si rivelò una delle atlete più titolate della storia dello sci nordico, con dieci medaglie olimpiche, tredici iridate e ventitré vittorie in gare di Coppa del Mondo. Tutti questi risultati la rendono la sportiva italiana più vincente di sempre nel circuito mondiale. Tale ricambio generazionale avvenne come un ideale passaggio di testimone. Da una generazione a quella successiva e da una Valle, la Vermenagna a un’altra, la Valle Stura, da cui proviene Stefania Belmondo.
Grazie alle lotte per l’emancipazione femminile tra gli anni Sessanta e Settanta, la situazione delle donne migliorò sotto tutti i punti di vista. Importanti passi avanti furono compiuti sia sul piano personale che professionale. Anche lo sport femminile, sci compreso, beneficiò di questa evoluzione. Nonostante ciò, ancora oggi si rileva un significativo divario di genere, che vede le sportive in numero minoritario rispetto ai loro colleghi. Inoltre, alle donne è riservato un trattamento iniquo, (retribuzioni e montepremi esigui, nonché inferiori rispetto agli uomini) e discriminatorio. Per non parlare, poi, del loro limitato accesso ai ruoli dirigenziali e agli incarichi di arbitro, allenatore e preparatore atletico.
Conclusioni tra oblio e memoria
Anna e Rina Tosello, Rita e Franca Bottero e le due Elisabette, Astegiano e Bellone, sono delle inesauribili fonti di ispirazione, per le sportive e per le donne di oggi e di domani, in quanto continuarono ad andare avanti, collezionando vittorie, anche di fronte alla loro estromissione a causa di logiche economiche e maschiliste. Ma c’è molto di più: sono punti di riferimento per tutte le persone che combattono per raggiungere i propri obiettivi, superando piccoli e grandi ostacoli quotidiani. Passione, coraggio, intraprendenza, costanza e forza di volontà sono gli ingredienti di una storia che va al di là del talento, della bravura, della giustizia e della meritocrazia, queste ultime due grandi assenti della narrazione.
Sono un esempio che per troppo tempo è stato dimenticato e che, al contrario, merita di essere diffuso e ricordato. A distanza di mezzo secolo, negli anni Duemila, a riportare alla luce la storia delle campionesse con un libro a loro dedicato: Tempo di anelli e di ragazze, è stato Domenico Clerico, che conosceva le imprese delle atlete grazie ai racconti del padre. Quest’opera ha poi ispirato il film della regista Barbara Allemand: Le ragazze di Limone. Infine, di recente, un altro omaggio a queste fuoriclasse ha preso forma nell’opera: My Heritage dell’artista Alice Visentin lungo il muro in cemento che costeggia un lato di piazza San Sebastiano a Limone Piemonte. Circa sessanta elementi di ceramica dipinta ripercorrono la storia locale con una dedica speciale alle sei fondiste. Una preziosa eredità da tramandare e valorizzare.
Un’altra recente occasione per celebrare la storia di queste atlete è stata la mostra Nell’Olimpo. Storie di campioni di un territorio, promosso da Fondazione CRC con la collaborazione del CONI Piemonte e a cura dell’Associazione Art.ur.
L’esposizione itinerante collega le città di Cuneo, Alba e Mondovì in una sorta di staffetta per celebrare i valori sportivi e le risorse del nostro territorio. In particolare, è scandita da pannelli narrativi e da una linea del tempo che corre lungo tutto il percorso e permette ai visitatori di collocare storicamente le vicende dei singoli campioni con citazioni rilasciate in interviste inedite, visionabili tramite Qr Code. Tra i tanti atleti cuneesi, viene anche raccontata la storia di Margherita Bottero.
Dopo poco più di un mese dalla messa in onda della puntata di Linea Bianca sulle montagne cuneesi, a cui ho partecipato, sono felice e grata di essere tornata a Limone Piemonte per incontrare Rina. Ascoltare i racconti delle sue avventure e di quelle delle sue compagne di squadra è stata davvero un’esperienza extraordinaria. Conoscevi la storia della Nazionale femminile di sci nordico di Limone Piemonte e le sue imprese? Che cosa ne pensi? Ti ha colpito e ispirato proprio come ha fatto con me? Fammi sapere nei commenti qui sotto!
Biografia
Le informazioni sulla storia delle sei campionesse di sci di fondo sono tratte dal libro: Tempo di anelli e di ragazze di Domenico Clerico, da cui a sua volta si è basato il film: Le ragazze di Limone, diretto da Barbara Allemand. Il tutto è stato approfondito grazie a una bellissima chiacchierata con Rina Tosello presso il Museo dello Sci Agostino Bottero a Limone Piemonte, resa possibile grazie a Cristina Tosello.
Un piccolo estratto dell’intervista a Rina Tosello su Instagram
L’intervista completa su YouTube