A Borgo San Dalmazzo, a meno di 10 km da Cuneo, alle porte delle valli Vermenagna, Gesso e Stura, sorge un Memoriale della Deportazione. Il suo nome è MEMO4345 e ci ricorda ogni giorno, non solo durante la Giornata della Memoria del 27 gennaio, uno dei periodi più bui della storia locale, i cui fili si intrecciano drammaticamente con la Storia ufficiale e con quella di tante persone comuni.
Tra il 1943 e il 1945 dalla stazione di Borgo San Dalmazzo furono deportati ad Auschwitz 357 ebrei, dopo essere stati internati nel campo di concentramento a pochi passi della linea ferroviaria, dietro l’ex Chiesa di Sant’Anna.
Continua a leggere l’articolo, per approfondire questa pagina di storia. Scoprirai come MEMO4345 mantiene viva la memoria di chi è stato privato di tutto, diventando un numero, un pezzo, uno scarto nelle mani di una disumanità da condannare e combattere senza se e senza ma.
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La storia del Memoriale della Deportazione di Borgo San Dalmazzo
Il Memoriale della Deportazione di Borgo San Dalmazzo si trova nell’ex Chiesa di Sant’Anna, oggetto di restauro dal 2006 al 2021. È il risultato di uno studio ventennale e tuttora in corso di Adriana Muncinelli, ricercatrice dell’Istituto Storico della Resistenza di Cuneo. Il suo lavoro ha preso forma in un percorso, scandito da 7 tappe, con protagonisti gli ebrei deportati e non solo.
- Perché? Quando? Da dove sono partiti?
Luoghi di origine, contesti ideologici, partenze, percorsi di fuga, flussi. - Come mai sono arrivati proprio qui?
L’occupazione tedesca del sud della Francia e l’imprevedibile anomalia italiana. - Quale fu la loro sorte? Quanti erano? Chi erano?
In Italia attraverso le Alpi: sollievo, paura, internati, deportati, salvati. - L’angolo delle storie
Otto racconti di Shoah… quante vite stanno in questa Storia? (di cui 7 di ebrei stranieri e 1 della famiglia Lattes di Saluzzo) - Come è potuto accadere?
Il terreno favorevole al male. Il crescere della gramigna. I segnali di pericolo. - La Shoah era inevitabile? È irripetibile?
Riflessioni sulla genesi della Shoah, sulla libertà e sulla responsabilità. - La storia siamo noi?
L’esempio dei Giusti. I Giusti e la Storia, i Giusti e le storie, i Giusti e noi.
Questi 7 momenti sono accompagnati da una linea del tempo, che va dal 1870 fino al 2020. L’anno di inizio della narrazione di MEMO4345 coincide con la data di nascita della più anziana deportata dal campo di concentramento di Borgo San Dalmazzo, Ida Manhasset Cossman. Inoltre, corrisponde con la fondazione dell’Impero tedesco dopo la sconfitta della Francia nella Guerra franco-prussiana e l’inizio della Belle Époque. Il tutto in un clima all’insegna del Nazionalismo e del Colonialismo con conseguenti ondate di xenofobia e antisemitismo.
Al centro di questi 7 momenti si trova una sorta di altare laico, rappresentato dall’opera di Enrico Tealdi: Ombre della memoria. Realizzata nel 2011 con la tecnica mista su carta, questa installazione raffigura due individui, personificazione del presente e del passato, uniti da un filo quasi impercettibile: la memoria.
Oltre il 27 gennaio: Giornata della Memoria
Qual è la memoria che vogliamo salvaguardare e trasmettere, a partire da una giornata dedicata fino all’allestimento di uno spazio ad hoc, come il Memoriale della Deportazione a Borgo San Dalmazzo?
La Giornata della Memoria del 27 gennaio è l’anniversario della Liberazione dei prigionieri del campo di sterminio di Auschwitz da parte dell’Armata Rossa il 27 gennaio 1945. Questa ricorrenza è diventata l’occasione per ricordare ogni anno in tutto il mondo le vittime dell’Olocausto.
E il Memoriale della deportazione di Borgo San Dalmazzo non rappresenta solo un luogo a memoria della Shoah, cioè l’annientamento degli ebrei, ma anche una celebrazione di quelle persone comuni, le cui storie rischiano di finire nell’oblio. Il filosofo, saggista e critico letterario tedesco di famiglia ebraica Walter Benjamin riassunse tale verità nella citazione impressa sul muro dietro l’altare laico di MEMO4345:
Le vittime protagoniste di MEMO4345
Le persone ricordate da MEMO4345 sono ebrei provenienti da diverse parti d’Europa, in modo particolare dalla Polonia e dall’Impero Austro-Ungarico. Le loro storie di vita sono tutte da scoprire attraverso video e altri dispositivi interattivi, consultabili lungo il percorso di visita.
Costretto a un esodo continuo alla ricerca di una nazione dove sentirsi al sicuro, il popolo senza patria raggiunse la zona di occupazione italiana nel Sud della Francia, dove fino all’armistizio dell’8 settembre 1943 poté evitare i rastrellamenti e le deportazioni ad opera dei nazisti.
Infatti, seppur privati della loro libertà attraverso l’isolamento e controllati a vista dai Carabinieri, gli ebrei in territorio italiano avevano salva la vita. La situazione precipitò rapidamente quando il nostro Paese firmò l’armistizio con gli Alleati: la fuga del Re e del Generale Badoglio gettarono l’Italia allo sbaraglio, a partire dall’esercito.
Dopo l’estenuante traversata lungo sentieri accidenti e tra i boschi, senza l’equipaggiamento adatto, con valigie pesanti come macigni e con la paura costante di essere braccati dai nazisti, le vallate cuneesi rappresentavano la Terra Promessa.
I soldati iniziarono a disertare, dandosi alla fuga attraverso le montagne e gli ebrei li seguirono. Circa 800 ebrei da Saint Martin Vésubie percorsero a piedi due vie differenti: il Colle di Finestra e il Colle di Ciriegia, per arrivare rispettivamente a Entracque e Valdieri. Qui vennero accolti in caserme, nelle terme di Valdieri e nelle case degli abitanti che mostrarono grande solidarietà nei loro confronti.
Il peggio sembrava passato. In realtà, doveva ancora venire e non riguardò solo gli ebrei provenienti da Saint Martin Vésubie, ma anche 23 saluzzesi, consegnati dai repubblichini di Salò ai nazisti, per compiere quella Soluzione Finale della questione ebraica, rimandata fino all’armistizio.
I carnefici e ideatori del campo di concentramento di Borgo San Dalmazzo
Il 16 settembre 1943 il maggiore delle SS Joachim Peiper, tristemente conosciuto per l’eccidio di Boves, ordinò di convertire l’ex caserma degli alpini di Borgo San Dalmazzo in un campo di concentramento. Fu il quarto lager nazista realizzato nel Nord Italia, dopo quello di Fossoli, Trieste e Bolzano.
L’obiettivo era di internare gli ebrei fuggiti dal Sud della Francia e approdati sulle montagne cuneesi. Questi ultimi diventarono vittime dei rastrellamenti guidati da un altro carnefice, di cui si conosce il nome ma non il volto. Si tratta del capitano Müller, il quale convocò il segretario comunale di Borgo San Dalmazzo per la redazione di un bando che puoi leggere nell’immagine qui sotto.
Il destino dei profughi più fragili, come famiglie con bambini piccoli, donne sole e anziani, era segnato. Con l’inverno alle porte, senza protezione, disperati, stanchi e affamati, una nuova fuga sembrava impossibile. Così circa 360 persone entrarono nel campo di concentramento di Borgo San Dalmazzo. Alcuni di essi ben presto scapparono, approfittando dei momenti di confusione o di cambio della guardia, anche grazie all’appoggio della comunità locale. Mentre gli ebrei italiani, rivendicati come proprietà fascista, in un primo momento vennero liberati.
Per tutti gli altri, su ordine di Alois Brunner, comandante del lager di Drancy e mandante dei rastrellamenti degli ebrei tra Saint Martin Vésubie e il Cuneese, il 21 novembre 1943, iniziò lo straziante viaggio nei vagoni merce, durante il quale i nazisti non risparmiarono ai deportati inenarrabili violenze. Con partenza dalla stazione di Borgo San Dalmazzo e due tappe, rispettivamente a Nizza e al campo di concentramento di Drancy, vicino a Parigi, 331 ebrei entrarono ad Auswischtz il 7 dicembre 1943. Di questi, solo 39 ne uscirono vivi.
E che fine fecero, invece, i 23 saluzzesi insieme ad altri 3 ebrei provenienti dalla Francia? A inizio dicembre 1943 furono rinchiusi nel campo di concentramento di Borgo San Dalmazzo. Dopodiché, il loro viaggio con destinazione Auswischtz iniziò il 15 febbraio 1944, passando per il campo di concentramento di Fossoli. Solo 2 persone riuscirono a sopravvivere.
I Giusti e il filo della speranza
In un periodo così buio della storia, alcune persone, molte delle quali ancora senza volto né nome, brillarono per il loro coraggio. Nonostante la paura, scelsero di resistere al Regime nazifascista a costo della loro stessa vita, perché c’era qualche cosa di più importante e forte della paura stessa. Ne abbiamo già avuto prova grazie alla storia di Maria Isoardo, l’Angelo della Valle Stura.
E all’interno di MEMO4345, il percorso si conclude proprio ricordando coloro che optarono per la Resistenza e la disobbedienza alle Leggi razziali, nonché alla macchina infernale messa in moto dai nazisti e ben oliata dai fascisti. Tra di loro ci furono intere borgate, famiglie, singoli, laici e religiosi, che aiutarono a fuggire o nascosero nelle proprie case gli ebrei perseguitati, offrendo loro quel poco che avevano a disposizione.
Un esempio su tutti fu Don Raimondo Viale, parroco di Borgo San Dalmazzo, che si schierò fin da subito contro il Nazifascismo. Questa sua presa di posizione gli procurò un violento pestaggio e 15 mesi di confino in Abruzzo. Nonostante ciò, Don Raimondo si mise al servizio degli internati e dei fuggitivi, attivando una rete di aiuti in collaborazione con Don Repetto della curia di Genova. I volontari (religiosi e non) lavorarono senza sosta e senza mai essere traditi, fornendo sostegno materiale e morale a un gran numero di persone. Queste riuscirono a mettersi in salvo grazie al trasferimento organizzato da Don Raimondo verso Genova, alla volta della Svizzera o di Roma.
Dopo la Seconda Guerra Mondiale Don Raimondo ricevette non solo numerose manifestazioni di gratitudine da parte degli ebrei sopravvissuti, ma anche il riconoscimento di Giusto tra le Nazioni il 7 agosto 2020. Questo titolo viene conferito da Yad Vashem, l’Ente nazionale per la Memoria della Shoah di Gerusalemme, ai non-ebrei che senza interesse personale rischiarono la propria vita per salvare anche un solo ebreo dal genocidio nazista. Inoltre, la piazza antistante l’ex campo di concentramento venne intitolata a suo nome nel 1998, a distanza di 14 anni dalla morte.
Riflessioni sulla Giornata della Memoria
È dal 28 gennaio in poi che bisogna ricordare
Questa frase di Liliana Segre, sopravvissuta al campo di sterminio di Auschwitz e testimone instancabile della Shoah, è un prezioso spunto di riflessione sulla Giornata della Memoria.
Quanto influisce un giorno di celebrazione ed esposizione mediatica su un intero anno? Che cosa succederà quando i custodi della memoria non ci saranno più? Come possiamo combattere il negazionismo dell’Olocausto e come evitare che la Storia si ripeta? Tutto ciò alla luce dei recenti fatti di cronaca in un clima d’odio dilagante nei confronto di chi è diversə per etnia, genere, abilità fisiche, mentali, orientamento politico, religioso e sessuale?
Uso il “noi”, perché è una questione che ci riguarda tutti/e e l’indifferenza permette al male di agire indisturbato e di vincere. In futuro, potrei essere io o potresti essere tu a venir consideratə diversə o rientrare in una minoranza. In fondo, i nostri connazionali furono ritenuti diversi e trattati come esseri inferiori, quando emigrarono negli Stati Uniti.
E se la diversità incute ancora così tanta paura e viene strumentalizzata dalla politica, per trovare un capro espiatorio su cui riversare tutte le colpe della crisi economica e sociale di un Paese, convinto di una sua presunta superiorità, allora non siamo così tanto lontani dagli scenari più oscuri della Storia.
In questo paragrafo ho più domande che risposte e mi piacerebbe che anche tu che hai letto questo articolo, condividessi il tuo pensiero nei commenti. Ma di una cosa sono certa: l’educazione quotidiana alla Memoria, alla Storia, alle storie e, più in generale, alla cultura, a partire dai più piccoli, è la chiave che apre la porta del futuro. Un futuro migliore, più inclusivo, meno pauroso e più consapevole che la diversità è una ricchezza da imparare a conoscere e valorizzare e non da temere.
Questa è la direzione tracciata da MEMO4345. Il percorso restituisce infatti ai visitatori la Memoria delle persone comuni sullo sfondo della grande Storia, spingendoli a una profonda riflessione. Questa inizia dal 1870 fino ai giorni nostri, ricordando anche altri genocidi oltre alla Shoah, come quello degli Armeni da parte dell’Impero ottomano, dei Romaní (Rom e Sinti), dei Tutsi in Ruanda, dei Rohingya in Birmania, e la tragedia dei migranti nel Mar Mediterraneo.
Articolo ispirato dalla visita guidata presso MEMO4345, a cui si può partecipare sabato e domenica alle 10.30, 14.30 o 16.30. Prenotazione consigliata presso l’Ufficio Turistico di Borgo San Dalmazzo.
Testo di riferimento per un approfondimento sul tema: Oltre il nome. Storia degli ebrei stranieri deportati dal campo di Borgo San Dalmazzo di Adriana Muncinelli ed Elena Fallo.