Il 20 aprile 1944 Maria Isoardo attuò con coraggio e devozione una delle tante forme di Resistenza civile all’invasore. Poco più di un anno dopo l’Italia sarebbe stata liberata dal Nazifascismo. Come lei, altre Italiane e Italiani scelsero di resistere come unica strada percorribile verso la loro libertà di singoli individui e di popolo.
Ma chi era Maria Isoardo? Era una mia compaesana, una Centallese DOC, e faceva la maestra delle elementari. Oggi ti racconto la sua storia, comune a quella di tante altre che non conosciamo e mai conosceremo, perché dimenticate.
Infatti, le storie quotidiane, vissute dalla gente comune, rischiano di cadere nell’oblio, oscurate dalla grande Storia, quella ufficiale scritta sui libri. Tuttavia, spesso sono proprio le storie ordinarie a rivelarsi fuori dall’ordinario. Allo stesso tempo sono più vicine al nostro sentire, nonché modo di essere e di vivere.
Nello specifico, quelle della Resistenza sono storie di un’intera generazione di donne e uomini, il cui sacrificio ha permesso di costruire una nazione finalmente libera. Una patria fondata su valori e ideali difesi senza se e senza ma, anche al costo della loro stessa vita. Nel racconto della Resistenza non rientra solo la scelta consapevole di arruolarsi nelle brigate partigiane. Infatti, resistere significa anche dare il proprio supporto alla lotta partigiana e assumere atteggiamenti non collaborativi nei confronti del nemico.
Tutte queste storie (extra)ordinarie rappresentano delle grandi fonti di ispirazione, di cui essere grati e su cui riflettere. Per questo motivo, vorrei rendere omaggio alla memoria di Maria Isoardo, o almeno ci provo.
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Maria Isoardo bambina: una vita in salita al servizio dei più piccoli
Maria Isoardo nacque il 12 giugno 1917 a Centallo da una famiglia numerosa, abituata a lavorare duramente, molto devota e segnata nel profondo dal lutto. Di tredici figli, sette morirono poco dopo la loro nascita e il padre scomparve quando Maria aveva solo 9 anni.
Il dolore piegò senza mai riuscire a spezzare la forza e la tenacia della madre Domenica, guidata da una fede incrollabile. Infatti, la vedova continuò a gestire l’attività di famiglia, una piccola trattoria, a crescere Maria, le sue sorelle e fratelli al massimo delle proprie possibilità.
Il coraggio, lo spirito di sacrificio, la speranza e la carità cristiana permisero alla famiglia Isoardo di andare avanti. Inoltre, diventarono preziosi insegnamenti condivisi da tutti i suoi membri e trasmessi ai più piccoli.
In questo ambiente, Maria dimostrò di aver fin da bambina le idee molto chiare sul suo futuro. Alla scuola materna amava condividere la merenda con i compagni meno fortunati. Era sempre pronta a consolare i più piccini con dolci e carezze, quando scoppiavano a piangere. Questi gesti quotidiani realizzavano il suo desiderio di rendersi utile e di mettersi al servizio del prossimo. Tale predisposizione d’animo le permise di riuscire a superare per gradi la sua innata timidezza.
Fu così che durante gli anni al Collegio Immacolata di Cuneo diretto dalle Suore Giuseppine, Maria capì quale sarebbe stata la sua vocazione:
Il suo progetto di vita iniziò a concretizzarsi quando nel 1938 si diplomò all’Istituto Magistrale Statale Edmondo De Amicis di Cuneo. Con quel pezzo di carta e un prezioso bagaglio di conoscenze e valori accumulati fino ad allora, Maria era pronta a mettersi all’opera. Allo stesso tempo era ben consapevole delle piccole e grandi difficoltà che avrebbe incontrato lungo il suo percorso. La strada era in salita e non solo perché avrebbe insegnato ad alta quota. Di lì a poco sarebbe scoppiata la Seconda Guerra Mondiale e nulla sarebbe stato più come prima.
Maria Isoardo adulta: la salita in cattedra e ai monti
Fin dai suoi esordi come maestra, Maria Isoardo abbandonò la pianura centallese per salire ai monti. Venne infatti destinata prima alle scuole elementari di Tenda. Poi, salì in cattedra a Limonetto, Oncino, Elva e, infine, a Pietraporzio.
Questo suo continuo peregrinare da una sperduta località montana all’altra assecondò due sue grandi passioni: il viaggio e la montagna. Maria, infatti, seguiva con grande interesse le pubblicazioni del Touring Club e andò due volte a Roma, dove vide il Papa, e una a Venezia. Al di là di queste destinazioni memorabili, i luoghi del suo cuore rimasero sempre le montagne e, in modo particolare, le vette.
Oltre a camminare spesso per quasi 40 km da Elva a Valmala e viceversa, arrivò con i suoi allievi sul Colle della Bicocca. Inoltre, dopo un paio di tentativi riuscì anche a scalare la cima più alta del Pelvo, spartiacque tra le valli Maira e Varaita. Per Maria, la salita in vetta diventò metafora della vita, nonché ricerca della bellezza e della perfezione divina. Quest’ultima era rappresentata da una natura spettacolare, incontaminata e rigogliosa, capace di appagare tutti gli sforzi necessari per raggiungere i pendii più ripidi.
Maria si abituò ben presto ad affrontare i piccoli e grandi ostacoli nello svolgere la sua professione di maestra ad alta quota. Prima di tutto, dovette confrontarsi con la diffidenza, l’ostinazione e la chiusura degli abitanti delle borgate. In questi scenari così complessi, superò sia la propria timidezza che quella dei suoi nuovi compaesani.
Tra gli appunti precisi sulla programmazione scolastica e i risultati conseguiti dai suoi allievi giorno dopo giorno, Maria annotò anche due frasi. Queste ben rispecchiano lo spirito con cui fece dell’insegnamento la sua missione:
Non temete, bimbi, vi voglio amare e voglio farvi del bene,
tutto quello che potrò. Io cercherò in voi la nascosta bellezza
delle vostre anime ingenue e la farò rifulgere.
C’è la volontà ferma di fare il maggior bene possibile, c’è l’amore per i bambini. Il resto verrà.
Nella scomoda posizione di forestiera, Maria cercò sempre di venire incontro a ogni comunità in cui si trasferì. Ai Molini di Elva, ad esempio, salutava sempre per prima, si interessava sullo stato di salute e sull’andamento dei lavori delle persone che incrociava per strada o ai bordi dei campi. Inoltre, aveva sempre parole di incoraggiamento per sollevare il morale di quei montanari, le cui vite erano messe a dura prova. La povertà rendeva infatti gli inverni ancora più rigidi e difficili da superare. Ma il peggio doveva ancora venire. Le montagne sarebbero diventate scenario della guerriglia partigiana e della repressione nazifascista con inenarrabili rappresaglie a danni della popolazione civile.
Nel frattempo, Maria si integrava nei vari borghi montani, facendosi amare e rispettare dai suoi allievi, dai loro genitori e, infine, da tutta la comunità. Non poteva immaginare che cosa sarebbe accaduto giovedì 20 aprile 1944. Quel giorno avrebbe affrontato la prova più grande della sua vita, mettendo in pratica un’altra sua annotazione:
Santità eroica è quella di colui che abitualmente esercita la virtù
e all’occorrenza anche in grado eroico.
Maria Isoardo: maestra di Resistenza femminile
L’ultimo paese di montagna in cui Maria Isoardo insegnò fu Pietraporzio a partire dall’autunno 1943. Lasciò a malincuore Elva e gli Elvesi che avevano imparato a conoscerla e apprezzarla per la sua dolcezza, umiltà e fermezza. Tuttavia, Maria seguì le disposizioni del Ministero dell’Istruzione. Si trasferì nel paese dell’alta Valle Stura in un momento storico a dir poco turbolento e pericoloso.
Dopo aver cercato alloggio senza riuscirvi, si stabilì con la collega Anita Barberis nella villa della scuola. Le due ragazze occuparono le due stanze a pian terreno dell’ex sede del Fascio. Oltre a scrivere spesso alla madre, Maria cercava di fare visita alla sua famiglia ogni quindici giorni. Spesso, però, rinunciava a rientrare a Centallo, perché troppo impegnata ad aiutare i bisognosi del posto. Durante gli incontri con la sua famiglia, la giovane maestra esortava sempre i suoi cari a essere generosi di cibo con chi stava combattendo.
E fu proprio contro questi ultimi che dal 20 al 28 aprile 1944 le truppe tedesche organizzarono otto giorni di rastrellamenti in Valle Stura. Guidate dal tenente colonnello Böckeler, arrivarono con i loro autocarri a Demonte. Si spinsero poi fino a Bersezio e raggiunsero Pietraporzio, in modo tale da aggirare i guerriglieri e annientarli.
La IV banda partigiana, guidata da Nuto Revelli, lottò contro gli invasori infliggendo loro forti perdite. Così, giunti a Pietraporzio i tedeschi iniziarono a perquisire ogni edificio del paese. Dopo il rinvenimento di alcune armi nascoste e la fuga di qualche soldato italiano nei boschi, collocarono tre mitragliatrici, di cui una puntata contro la scuola. Inoltre, incendiarono quattro abitazioni.
Quel fatidico 20 aprile 1944, mentre i tedeschi si aggiravano per la scuola, Maria e Anita svolsero regolarmente lezione. Alle 11.30 accompagnarono i bambini a casa, per tutelare la loro sicurezza e incolumità. Lungo la strada del rientro, le due maestre aiutarono a spegnere il fuoco divampato nelle case oggetto di rappresaglia.
Una volta terminato il lavoro, Maria e Anita rientrarono nella villa della scuola. Ad attenderle, c’era un soldato tedesco che si era distaccato dalla propria compagnia di appartenenza. Da Pontebernardo aveva iniziato a vagare come uno sbandato fin ad arrivare a Pietraporzio ed era probabilmente ubriaco. In tutto quel parapiglia, a nulla servì l’avvertimento di pericolo inviato alla caserma dei Carabinieri, che si trovava proprio vicino alla scuola.
Maria e Anita se lo ritrovarono di fronte e la situazioni precipitò nel giro di pochi minuti. Il soldato chiuse a chiave la porta della stanza in cui le due maestre si stavano cambiando. Iniziò a borbottare qualche parola in un francese incomprensibile, importunando Anita. Maria intervenne subito in aiuto della collega, cercando di allontanare il soldato. Così Anita riuscì a fuggire dalla finestra. A quel punto, però, Maria rimase da sola, in balia del nemico.
Nessuno fu testimone di quanto avvenne in quella stanza. L’unica certezza, anche grazie ai rilievi successivi, fu la scelta di Maria di resistere alla violenza: la maestra si oppose con tutta se stessa. Questa sua fermezza provocò la spietata reazione dell’aguzzino.
All’improvviso, dalla stanza echeggiò uno sparo, uno soltanto, ma fatale per Maria. Dieci minuti più tardi, il soldato uscì dalla scuola in direzione Pontebernardo, sparando verso la scuola, le abitazioni e la casa forestale. Poco dopo arrivarono i primi soccorsi, ma per Maria non ci fu più nulla da fare. La ritrovarono a terra senza vita con l’occhio sinistro trapassato da un proiettile.
Conclusione
La morte di Maria Isoardo a soli 26 anni provocò un dolore immenso in tutta la valle, a partire da Pietraporzio. I suoi abitanti si attivarono subito per denunciare l’episodio di violenza al comando di Cuneo. Ciò permise di rintracciare il soldato tedesco. Ben presto il sottufficiale venne identificato e condannato alla pena di morte, per poi essere inviato in prima linea su uno dei fronti di guerra.
Tante furono le testimonianze di affetto, stima e sincera commozione nei confronti del sacrificio di Maria Isoardo. Ti basti pensare alle parole con le quali il colonnello Cordara diede il triste annuncio alla famiglia:
Maria ha fatto una morte gloriosa.
Inoltre, con l’arrivo della salma a Centallo, domenica 23 aprile, durante il coprifuoco la famiglia Isoardo ricevette una visita molto speciale: quella di Duccio Galimberti. L’eroe nazionale della Resistenza disse alla madre:
Signora le faccio le condoglianze per la sua figliola
che ha fatto la martire.
Di lì a poco Maria verrà soprannominata l’Angelo della Valle Stura. La sua breve vita, scandita dall’amore nei confronti del prossimo, da una profonda devozione ai valori cristiani e all’insegnamento, diventò un vero e proprio esempio. Il suo ricordo si è rivelato un momento di condivisione e riflessione collettiva con svariate iniziative organizzate sia a Centallo, grazie all’Associazione Centallo Viva, che a Pietraporzio.
L’aspetto più sconcertante è che l’epilogo tragico della storia di Maria Isoardo è più che mai attuale. Infatti, è ancora lo stesso di tante donne in Italia e nel mondo, nonostante siano passati ottant’anni da quei fatti drammatici e malgrado non sia in corso alcuna guerra, durante la quale la cultura dello stupro è una pratica diffusa per umiliare il nemico, oltre a essere una conseguenza del patriarcato.
Proprio per aver resistito alla violenza del soldato tedesco fino a sacrificare la propria vita, Maria Isoardo è stata riconosciuta: “Martire della dignità della donna” e allora mi chiedo e ti chiedo: quando ogni donna potrà davvero essere liberata,
e finalmente libera, senza il bisogno di diventare martire?
L’articolo è stato scritto grazie alle informazioni e al materiale fotografico raccolto con l’aiuto della Maestra Fulvia Candelo, Gianpiero Pettiti e l’Associazione Centallo Viva. Una menzione speciale alla bellissima intervista impossibile a Maria Isoardo, realizzata da Fiorenza Barbero in occasione del centenario dalla nascita della mia compaesana.